mercoledì 1 dicembre 2021

Vi presentiamo "La Vinaia", il giallo dello scrittore Luigi Lazzaro

SINOSSI
Siamo nel 1955. 
A Faramonte, un paesino dell’appennino abruzzese, Bambina Buongarzone (la Vinaia), moglie del locale vinaio e già prostituta nelle case di tolleranza con il nome d’arte “Millecazzi”, viene trovata violentata e morta ammazzata nella bottiglieria del marito.  In quattro e quattr’otto i locali carabinieri arrestano Turuccio, lo scemo del paese che da tempo perseguitava la donna. Benché sia chiaro che Turuccio, sebbene coinvolto, non possiede le capacità intellettuali per organizzare e compiere un tale crimine, nel paese (che attende la visita del vescovo) tutti sono soddisfatti della soluzione e il povero Turuccio, nell’indifferenza generale, viene processato e rinchiuso nel manicomio criminale.  Circa un anno dopo, in paese arriva Zelinda, la sorella della Vinaia, una donna sola e disperata alla ricerca della verità sulla morte della gemella. Dopo qualche mese giunge a Faramonte anche Matteo, uno psicologo omosessuale in distacco punitivo presso la scuola elementare del paese a causa del suo “vizio” (siamo nella provincia bigotta degli anni cinquanta). Zelinda convince Matteo ad aiutarla a scoprire come sia veramente morta la sorella, ma ambedue trovano grande resistenza da parte del resto del paese, oltre che dei baroni de Basilijis, un’antica famiglia aristocratica funestata nei secoli da ripetuti episodi di follia. La storia trova il suo tragico epilogo nei meandri del tetro palazzo de Basilijis e sulle vicine montagne. Una vicenda oscura che si dipana in un’atmosfera opprimente, accentuata dalla pioggia battente e dal grigiore degli animi, con la sensazione claustrofobica di essere imprigionati in un acquario soffocante. Un paesaggio infernale in cui i personaggi si muovono nell'attesa della loro piccola apocalisse Un finale in cui la verità si ribalta ripetutamente in una sequela di sorprendenti colpi di scena.

Prologo, anno 1955
 
Tutti  in paese  la  chiamavano la  Vinaia. Anche  Gerlando,  il  suo anziano marito, la  chiamav a  così, sia in  pubblico  sia  in  privato,  perfino  quelle  rare  volte  che,  raccolte  le  povere  forze  dei  suoi  stanchi lombi, la  possedeva  e  a  ogni  affondo invocava:  «Vinaia, ahhhh, Vinaiaaa!». Dopo  la  morte  della  prima  moglie  con  cui  aveva  gestito  la  bottiglie ria  per  oltre  trent'anni,  Gerlando si  era  affannato  a  continuare  da  solo  il  suo  mestiere  di  vinaio,  ma  il  contatto  con  la  clientela  lo disturbava  e  allora  gli  era  venuta  l’idea  di  riaccasarsi. Aveva  conosciuto  colei  che  sarebbe  diventata  la  sua  nu dove  Bambina  Buongarzone ova  mogli e,  la  Vinaia,  al altrimenti  detta  Ficadiferro casino di  Pescara, faceva  marchette  con  grande  dedizione e  in perfetta  letizia. Si  erano  sposati  in  comune  il  trentuno  dicembre  del  1952,  lui  sessant'anni  e  lei  trenta,  e  avevano tr ascorso la  loro prima  notte  sul  treno per  Roma. Durata  del  viaggio di  nozze:  un giorno.
Arrivati  nella  città  eterna  la  mattina  del  primo  gennaio,  avevano  visitato  in  tram  il  Colosseo  e Piazza  San  Pietro  per  poi  pranzare  in  una  latteria  di  via  del  Basilico fetta  di  pane  e  un bicchiere  di  latte  ciascuno. :  un  uovo  al  tegamino  con  una Alle  quindici  in  punto  erano  al  cinema  Barberini,  al  primo  spettacolo  di Luci  della  Ribalta Gerlando  cadde  subito  addormentato  e  Bambina  dovette  varie  volte  dargli  di  gomito  a  c . ausa  del  suo imbarazzante  ronfare. Alle  diciotto  e  trenta  erano  di  nuovo  in  treno,  e  sei  ore  dopo  erano  a  casa,  a  Faramonte,  alle  falde della  Maiella...

I NUMEROSI PREMI DE "LA VINAIA"

2015 Vincitore del premio Delitto d’Autore

2015 Cinquina finale premio Quasimodo

2015 Vincitore del Concorso del Leone

2016 Vincitore del premio La Città di Murex

2017 secondo posto al premo Golfo dei Poeti Shelley e Byron

2017 Migliore opera thriller al premio Un Libro Amico per l’Inverno

2018 Premio Associazione Culturale Accademia Res Aulica

lunedì 29 novembre 2021

"Il tesoriere" il romanzo d'esordio di Gianluca Calvosa

TRAMA
Italia, 1972. Dopo quattordici anni trascorsi tra i corridoi polverosi di un soffocante archivio alla periferia di Milano, Andrea Ferrante è ormai rassegnato al suo dignitoso quanto anonimo ruolo di piccolo funzionario politico, ben lontano dalla radiosa carriera cui un tempo sembrava destinato. Il rapporto con la moglie Sandra si trascina stancamente. Con suo figlio Umberto, poco più di qualche sporadico litigio.
A strapparlo dal torpore del fallimento è un’inattesa convocazione a Roma dove, contro ogni logica e consuetudine, il nuovo segretario del PCI lo nomina tesoriere del partito. L’entusiasmo per il prestigioso incarico, però, lascia presto il posto allo sconcerto: non solo il suo predecessore è stato trovato morto in circostanze poco chiare, ma il primo compito che Ferrante deve affrontare è interrompere il fiume di denaro proveniente da Mosca.
Sono anni densi di fermento, quelli della Guerra Fredda, delle università occupate, del volantinaggio in fabbrica, dei cortei di piazza e delle prime vittime del terrorismo.
L’Italia è troppo strategica per lasciare l’iniziativa al nemico: comunisti, democristiani, CIA, KGB, servizi deviati, brigatisti e alti prelati del Vaticano si incrociano a Roma, vero epicentro della contrapposizione tra Mosca e Washington, mettendo in scena un conflitto senza precedenti che, anestetizzato dall’abbraccio della Dolce Vita, trasforma la Città Eterna nel parco divertimenti dello spionaggio internazionale.
Gli eventi che hanno catapultato l’inconsapevole tesoriere in un labirinto senza apparente via di uscita risvegliano storie provenienti da lontano che si danno appuntamento sulle sponde del Tevere per fare i conti con il passato.
Storie di soldi, tanti soldi, storie di militanza e di tradimenti, di fantasmi testardi, nobili proletari, truffatori metodici, ministri senza culto, criminali devoti ed eroi inconsapevoli.
In questo avvincente romanzo d’esordio Gianluca Calvosa ricostruisce le dinamiche di una stagione cruciale per la storia italiana, che ancora si riverbera con la sua ombra fosca sul presente.

L'autore 
Gianluca Calvosa (Napoli, 1969) dopo la laurea in ingegneria ha svolto un’intensa attività manageriale per poi fondare OpenEconomics, società leader in Italia nella valutazione d’impatto socioeconomico, e Standard Football, spin-off di analisi finanziaria in ambito sportivo. Dal 2002 al 2006 ha diretto la casa editrice de “Il Riformista”, “New Politics” e “Quaderni Radicali” e nel 2004 ha contribuito alla nascita di “Formiche”, magazine multimediale di economia e politica di cui è tuttora presidente.

"Delitto sotto le torri" del giovane scrittore Luca Viozzi ispirato ad un fatto realmente accaduto

Trama 
In una piccola villa arredata con quadri antichi e librerie piene di letture importanti, si trovava un imponente scrivania in mogano avente tre cassetti gemelli. Il proprietario li teneva chiusi a chiave.
Solo alla sua morte gli eredi scoprirono in parte il segreto nascosto.
I cassetti erano apparentemente identici ma uno era meno profondo degli altri due. Con l’aiuto di un tagliacarte in argento, il pannello che custodiva il doppiofondo venne tolto. All’interno un faldone con dei legacci colmo di carte.
I documenti contenevano un elenco di nomi, cifre e strani simboli che sembravano indecifrabili. Per molto tempo si è cercato di rintracciare le persone della lista. Molte affermarono di non conoscerne il significato. Altre si sono rifiutate di rilasciare informazioni, non volendo ricordare nulla di quella storia. Alcune purtroppo sono scomparse in circostanze misteriose.
Le indagini hanno svelato il lato oscuro e insanguinato di quei fogli.
Quello che segue è solo un romanzo. I nomi dei personaggi e le loro azioni sono invenzioni dell’autore.
Una cosa però è certa. Il Male agisce con modalità che non conosciamo ed spesso è invisibile ad occhi poco esperti.

L'autore
Luca Viozzi nasce ad Ascoli Piceno il 1 marzo 1984.
Laureato in ingegneria, oggi è docente Tecnologie dell'informazione e della comunicazione e presidente dell'associazione culturale Allenamente di Petritoli. Il nonno era commissario di polizia a San Benedetto del Tronto e il romanzo è ispirato a un fatto realmente accaduto.
Redazione Gialli e Neri

La nostra intervista allo scrittore noir più seguito d'italia Paolo Roversi

1. Un benvenuto a Paolo Roversi su Gialli & Neri. Ti ringraziamo per la tua disponibilità e iniziamo subito con la prima domanda. Com’è nata l’idea della rapina del millennio a cui ruota questo nuovo romanzo?
Nel 2013 avevo scritto per il mensile GQ un articolo riguardante questa vicenda. La storia mi è poi rimasta in testa fino ad oggi quando è venuto il momento di scriverla.

2. Che Italia era quella del periodo di "Black Money"?
Diciamo che Black Money racconta di truffe informatiche e di crimini cyber e, dal 2013 a oggi, la situazione non è molto migliorata. Ora ci sono i riscatti "virtuali" come è accaduto qualche mese fa alla regione Lazio. La strada per la sicurezza informatica è ancora lunga.

3. Quale personaggio criminale del tuo romanzo ti ha di più affascinato nel raccontarlo? Ci puoi svelare i suoi pregi e difetti? 
Direi il cattivo di Psychokiller. Ha più difetti che pregi ma ha anche doti nascoste che per ragioni di trama non posso svelare...

4. Il successo di Black Money era tra le tue aspettative?                         
Ci speravo e sono molto contento che stia andando bene!                                                                                            
5. Cosa pensi degli e-book e audiolibri? Secondo te in futuro ci potrà essere un altra forma di comunicazione della letteratura?
Il piacere della lettura o meglio della fruizione di storie per me rimane immutato sia che si legga su carta, su device o si ascolti.
L'uomo da sempre ricerca storie originali: che scelga poi ciascuno di
noi come fruirne.

6. Dopo Black Money? Stai scrivendo qualche altro romanzo? Se sì, di cosa si tratta?
Nella primavera del 2022 uscirà la nuova indagine del mio giornalista hacker Enrico Radeschi.

Redazione Gialli e Neri

domenica 28 novembre 2021

"I quattro cantoni" l'ottava indagine di Lolita Lobosco della scrittrice Gabriella Genisi

I quattro cantoni
La trama
L'ottava indagine del commissario Lolita Lobosco Bari, inizio di dicembre, mancano pochi giorni a San Nicola. Mentre la commissaria Lolita Lobosco e il suo nuovo amore Giancarlo Caruso si godono la notte in una casetta di pescatori a Polignano, nella vicina Torre a Mare un uomo viene ammazzato nella sua villetta; sul corpo saranno trovate tracce di orrende sevizie. La sera dopo, una Mercedes scura cerca di sfuggire a un posto di blocco e si schianta contro un muro: due uomini di etnia rom, padre e figlio, muoiono sul colpo. Quando si scopre che il dna di uno dei due era anche sulla scena del crimine, il caso sembra chiuso, ma l’origine etnica dei presunti assassini non fa che soffiare sul fuoco di un clima di odio e razzismo strisciante. Solo Lolita – che continua a dividere le sue passioni tra relazioni complicate, cucina del Sud e dedizione alla giustizia – non è convinta dell’esito delle indagini: alcuni dettagli non quadrano proprio. Tanto più che inspiegabili delitti, nelle settimane seguenti, cominciano a insanguinare la città. Un filo sembra legare queste morti misteriose, e la bella commissaria cercherà di dipanarlo a rischio della sua carriera, e della sua stessa vita. In una Puglia fascinosa e crepuscolare, va in scena una nuova avventura della spavalda poliziotta barese, che la consacra come originale protagonista della commedia noir all’italiana.

I quattro cantoni
L'autrice. 
Gabriella Genisi è nata nel 1965. Ha scritto numerosi libri e ha inventato il personaggio del commissario Lolita Lobosco, la poliziotta più sexy del Mediterraneo, protagonista di alcuni romanzi pubblicati da Sonzogno: La circonferenza delle arance (2010), Giallo ciliegia (2011), Uva noir (2012), Gioco pericoloso (2014), Spaghetti all'assassina (2015), Mare nero (2016) e Dopo tanta nebbia (2017). Ha inoltre scritto: La teoria di Camila. Una nuova geografia familiare (Perrone, 2018) e Pizzica amara (Rizzoli, 2019).

sabato 27 novembre 2021

"Mangiaracina investigazioni", la serie tv ambientata a Borgo Vecchio sbarca su Amazon Prime Video


La serie tv ambientata a Palermo e tratta dal primo dei miei romanzi dedicati alla famiglia Mangiaracina sbarca su Amazon Prime Video in Italia, Stati Uniti e Regno Unito. Si tratta di "Mangiaracina Investigazioni" una miniserie tratta dai romanzi di Valentina Gebbia e dedicati all’Agenzia Mangiaracina Investigazioni. La sceneggiatura ha ottenuto il contributo del Mibac nel 2018, la produzione è stata realizzata con la co-organizzazione del Comune di Palermo. Quattro gli episodi di genere giallo - commedia - family (il primo è "A qualcuno piace il caldo") con protagonista la sgangherata famiglia di investigatori Mangiaracina, la cui agenzia ha sede nell'antica cucina di casa a Borgo Vecchio. Troupe e cast interamente siciliani, con protagonisti Massimo Marotta, Sabrina Lembo, Anna Attademo e Miriam Taze, insieme a volti noti e meno noti del panorama isolano, perfettamente calati nei personaggi in bilico tra suspense e umorismo.

Valentina Gebbia
Sinossi

Notte d’agosto, scirocco. Un cadavere sfigurato viene ritrovato sulla spiaggia di una borgata marinara palermitana. Addosso ha degli inquietanti segnali: una coda di cavallo stretta tra le mani e un osso d’oliva nell’ombelico. Il caso si presenta subito parecchio complicato e, in vista di Ferragosto, c’è il rischio di trovare un colpevole qualsiasi per poi riparlarne a settembre. Allo scopo di salvare l’autore del ritrovamento, Terio Mangiaracina, pescatore-per-caso e possibile assassino, la straripante sorella Fana s’inventa la sgangherata Mangiaracina Investigazioni e decide d’indagare autonomamente sul delitto. Con l’aiuto della madre laureata in “autobus”, il coinvolgimento del confusionario quartiere di Borgo Vecchio e del cugino carabiniere, il caso sarà risolto fra malocchi, tradimenti e vertigini amorose, immersi nelle suggestioni antiche e moderne di una città Patrimonio dell’Umanità, affascinante e misteriosa, mosaico di culture e d’emozioni senza tempo: Palermo.

Produzione 

Si tratta di una produzione indipendente, una coraggiosa produzione low cost che non si è mai arresa lungo il percorso irto di difficoltà, con la regia della stessa Valentina Gebbia e una troupe interamente siciliana. Un’opportunità per dare valore e chance alle professionalità tecniche del territorio, e ad attori bravi e carismatici, spesso abituati solo a raccogliere le briciole delle grosse produzioni che volentieri girano in Sicilia, come il protagonista Massimo Marotta, Sabrina Lembo, l’affascinante Anna Attademo, l’esordiente Marianna Ruina nel ruolo della mamma Assunta, o Miriam Taze, palermitana di origini multi-sfaccettate, che parla con l’accento più tipico di tutto il cast. La Serie ha uno stile suo, indolente come il palermitano classico, surreale a tratti e con un sapore di tenerezza in filigrana che la rende adatta agli spettatori di ogni età, capace di invitare alla condivisione e al calore familiare che in tanti hanno riscoperto per le vicissitudini che stiamo vivendo.

venerdì 26 novembre 2021

«Blanca» la grande fiction di Rai1 tratta dai libri della scrittrice Patrizia Rinaldi

LA SERIE TV. A una fiction di Rai1 che inserisce nel racconto in maniera non banale una citazione tratta dalla canzone ’Â çímma di De Andrè si perdona tutto: le scivolate melodrammatiche, le cartoline da Camogli, il vecchio trucco di mescolare indagini e sentimenti. In realtà, c’è poco da perdonare: tratto liberamente dall’omonimo romanzo di Patrizia Rinaldi, Blanca è un crime drama che racconta la storia di una ragazza che perde la vista all’età di 12 anni a seguito di un incendio. Da adulta coltiva il sogno di lavorare in polizia, anche per sfruttare la sua sensibilità nella tecnica del décodage, la capacità di analizzare nelle telefonate e nelle intercettazioni suoni e rumori che sfuggono a un udito meno sviluppato del suo. La Lux Vide ha messo a segno un’altra delle sue macchine da sogno. Ha inserito un impianto narrativo ben collaudato (il poliziesco che stinge sapientemente nel rosa), in grado di risolvere un caso in ogni puntata (con il pubblico di Rai1 è un azzardo giocare troppo con le trame orizzontali, quelle che si estendono per diversi episodi), in uno scenario poco sfruttato dal cinema italiano: Genova e dintorni, con le sue strade, il suo porto, la ferita del ponte Morandi ancora aperta. E poi una bella ragazza (Maria Chiara Giannetta) non vedente che risolve casi di femminicidio suscita subito una particolare simpatia. Per non parlare del suo cane Linneo, che l’aiuta nella vita di tutti i giorni e anche nelle indagini. Tutto si gioca sullo sguardo «diverso» di Blanca che le permette di vincere la diffidenza con cui è stata accolta nel commissariato San Teodoro. La regia dei sei episodi della fiction è di Jan Maria Michelini e Giacomo Martelli. Una curiosità: Blanca è la prima serie televisiva al mondo girata in olofonia, una speciale tecnica di registrazione del suono che permette, tramite cuffie, di percepire il suono come lo sente una persona non vedente.

LIBRI
La storia di Blanca Ferrando è tratta dalla serie di libri scritti dalla scrittrice napoletana Patrizia Rinaldi. Il primo, “Blanca”, risale al 2009; a questo hanno fatto seguito “Tre, numero imperfetto” (2012), “Rosso Caldo” (2014) e “La danza dei veleni” (2019), tutti editi da Edizioni e/o.

LA SCRITTRICE
Patrizia Rinaldi è un'autrice italiana nata a Napoli nel 1960. È laureata in filosofia e si è specializzata in scrittura teatrale. Dal 2010 partecipa a progetti letterari presso l'Istituto penale minorile di Nisida. Tra le sue pubblicazioni ricordiamo la graphic novel Adesso scappa (Sinnos 2014), Federico il pazzo, vincitore del premio Leggimi Forte 2015 e finalista al premio Andersen 2015 (Sinnos 2014), Mare giallo (Sinnos 2012), Rock sentimentale (El 2011), Piano Forte (Sinnos 2009). Per E/O Edizioni ha pubblicato, inoltre, Tre, numero imperfetto (2012), Blanca (2013), Rosso caldo (2014) Ma già prima di giugno (2015) e La danza dei veleni (2019).

Vi presentiamo "Il signore di notte" di Gustavo Vitali

Trama
Venezia, 16 aprile 1605
Viene rinvenuto nella sua modesta dimora il cadavere di un nobile caduto in miseria, primo delitto di un giallo fitto fitto che ha come sfondo la Venezia alle soglie del Barocco.
Sul luogo si precipita il protagonista del racconto, Francesco Barbarigo. Come “Il Signore di Notte”, dà il titolo al racconto e richiama espressamente la magistratura incaricata dell’ordine pubblico, sei giudici e insieme capi della polizia. Si tratta di una persona realmente vissuta ai tempi così come i principali personaggi della storia che, al contrario, è di pura invenzione. Questo particolare ha comportato un copioso lavoro di ricerca come documentato nella bibliografia del libro.
È solo il primo dei delitti che affiorano in una trama intensa e intrigante. Sono coinvolte le figure più varie, da quelle di primo piano, a quelle defilate nei contorni. L’autore apre così un’ampia carrellata su aristocratici ricconi e quelli che vivacchiano malamente, mercanti, usurai, bari, prostitute e altri. Nella vicenda tutti recitano i rispettivi ruoli e la contestualizzano in quella società veneziana che si era appena lasciata alle spalle un secolo di splendore per infilarsi in un lento declino. Compaiono anche personaggi sgradevoli, come i “bravi”, perché il tempo del declino è anche il loro, accomunati agli sgherri da una violenza sordida e sopraffattrice.
Sempre nell’ottica di addentrare il libro nella sua epoca, ecco l’aggiunta di brevi divagazioni su curiosità, usi e costumi, aneddoti, fatti e fatterelli. Costituiscono un bagaglio di informazioni sulla storia della Serenissima, senza interrompere la narrazione e senza che gli attori si defilino da questa.
Un discorso a parte merita la figura del protagonista. Se qualcuno spera nello stereotipo dell’eroe positivo, resterà deluso. Il Barbarigo è un uomo contorto che affronta le indagini con una superficialità pari solo alla sua spocchia. Vorrebbe passare come chi sa il fatto suo, spargere sicurezza, ma nel suo intimo covano ansie e antichi dolori. Non sa come cavarsi dagli impicci, cambia idea e umore da un momento all’altro, insegue ipotesi stravaganti e indaga su persone del tutto estranee al delitto. Il linguaggio è spiccio, crudo, spesso beffardo e dissacratorio, mette in ridicolo difetti e difettucci del protagonista e insieme quelli della società del tempo.
Sull’onda dell’improvvisazione e di una acclarata incapacità non si fa mancare nulla, nemmeno una relazione disinvolta, o quella che lui vorrebbe tale, con una dama tanto bella, quanto indecifrabile. Non capisce nulla neppure di questo strambo amore che gli causa presto nuovi turbamenti.
Cosicché nelle indagini, come pure nel letto, finisce con il collezionare una serie di disfatte clamorose fino a quando in suo aiuto accorre un capitano delle guardie che ha tutta l’esperienza e l’astuzia che mancano al magistrato. Tuttavia i due dovranno faticare ancora un bel pezzo per scrivere la parola fine a tutto il giallo che nel frattempo si è infittito di colpi di scena, agguati e delitti, compresi quelli che riemergono dal passato. Il finale sarà inaspettato e sorprendente.
Gustavo Vitali descrive la sua biografia. 
Sono nato a Milano il 4 agosto (non dico l’anno perché al riguardo sono un tantino ritrosetto...). Da oltre trent’anni vivo nella bergamasca dove mi sono sposato con due figli, Federico e Claudio.
Istruzione: liceo scientifico e scienze politiche. Nessuna lode particolare: “È un ragazzo intelligente, ma non si applica abbastanza!” l’invariabile, ancorché poco appagante, giudizio dei miei insegnanti. Cosicché anni dopo la tesi di laurea è finita in soffitta, complice l’attività di famiglia, poi mia, dalla quale sono stato risucchiato. Ho anche fondato e diretto per una dozzina d’anni una rivista di settore. Passioni: il volo in parapendio ultima in ordine di tempo, cosa che mi ha portato a ricoprire da anni il ruolo di ufficio stampa nella FIVL (Associazione Nazionale Italiana Volo Libero – parapendio e deltaplano). Ovvio che non è stata la passione per il volo a spingermi a scrivere “Il Signore di Notte”, un giallo ambientato nella Venezia dei dogi! Lo è stata, invece, quella per la storia, da sempre. Ricordo che da ragazzino preferivo i sussidiari ai fumetti e leggevo la storia antica come fosse un romanzo d’avventura. Il vizio è rimasto in giovinezza e poi oltre, fino a oggi. Però come sia sorto l’interesse per la storia dell’antica Serenissima in particolare non saprei dire. Fatto sta che ho cominciato a leggere autori come Alvise Zorzi e altri storici che si sono occupati della sua storia lunga undici, forse tredici secoli. Quindi sono un lettore a senso unico: storia e ancora storia con qualche deviazione per la letteratura gialla. Classici quanto basta: I Promessi Sposi e I Miserabili (in francese!) me li hanno fatti ingozzare al liceo insieme a qualche cantico della Divina Commedia da recitare poi a memoria. Scampato all’Orlando Furioso. Poi ho affrontato Addio alle Armi, ma ho resistito solo fino a metà del libro, ancora meno Guerra e Pace. Divorati Granzotto, Spinosa, Mark Smith e altri. Congiunto alla passione per la storia, il vizio di non saper trattenere la penna dalla carta o i ditini dalla Olivetti Lettera 32 ai tempi, poi dalla tastiera fin dagli anni ’70, quando i personal computer costavano un botto. 
Ecco perché “Il Signore di Notte” è insieme un racconto giallo con brevi riferimenti storici, una trama inventata, ma i personaggi sono vissuti davvero nel 1605, l’epoca dove l’ho ambientato.

giovedì 25 novembre 2021

Il prologo dello straordinario Noir "Suburra" di Bonini e De Cataldo

PROLOGO
Roma, luglio 1993 
Nel buio umido della notte d’estate, tre uomini attendevano a bordo di un Fiat Ducato dei carabinieri parcheggiato sul lungotevere. Indossavano divise dell’arma, ma erano criminali. Dalla parte sbagliata di Roma li conoscevano con i nomi di battaglia di Botola, Lothar e Mandrake. Botola scese dal furgone e si affacciò sul fiume. Cacciò dalla tasca un novellino Gentilini sbriciolato e lo depose sulla spalletta. Arretrò di qualche passo e rimase a fissare un gabbiano che affondava il becco tra i rimasugli del biscotto. – Che belli i gabbiani. Risalí sul furgone. Quello che chiamavano Lothar si accese l’ennesima sigaretta e sbuffò. – Io me so’ rotto. Che stiamo aspettando? – Te l’appoggio! – disse, convinto, Mandrake. Botola scosse la testa, inflessibile. – Il Samurai ha detto alle due precise. Non un minuto prima, non uno dopo. Non è ancora il momento. Gli altri due protestarono. Ma di che parliamo? Un anticipo di dieci minuti? E che sarà mai? E poi, sulla strada, sino a prova contraria, ci stavano loro, mica il Samurai. Che, per caso, il Samurai ci aveva gli occhi dappertutto? Che era, il Padreterno, che li poteva controllare istante per istante?
– Il Padreterno forse no, – concesse Botola, con un sospiro. – Ma se me parli del diavolo, ci sei vicino. – Seeh, il diavolo! – ironizzò Mandrake. – È ’n omo come noi! E poi me so’ stufato: il Samurai de qua, il Samurai de là… Io, te dovessi di’, non l’ho mai visto sporcarsi le mani, ’sto Samurai… Bravo a parlare, chi lo discute… ma è facile, quando il rischio se lo caricano l’altri. Botola li squadrò, con un mezzo sorriso di commiserazione. Proprio non si rendevano conto, poveri cristi! – Ve lo ricordate il Pigna? A Lothar e a Mandrake quel nome non diceva niente. Botola raccontò una storia. C’è questo pugile del Mandrione, di nome fa Sauro, detto Pigna per via di un sinistro micidiale. Un bestione, tanto forte di braccia quanto scarso a cervello, povero Pigna. Se fosse stato appena un po’ piú furbo, non si sarebbe appiccicato col Samurai per una questione di droga. Sí, perché a un certo punto, dopo un affare di incontri truccati, la Federazione gli revoca la licenza per combattere, e il Pigna si mette a spingere un po’ di roba per conto del Samurai. Il guaio è che il Pigna si crede un gran furbo. Prima comincia a fare la cresta, poi, quando si sente sicuro, arraffa un grosso carico, lo vende per conto suo e sparisce. Resta nascosto tre-quattro mesi, e un bel giorno ricompare. Coi soldi fregati al Samurai s’è comperato una palestra, ha reclutato quattro ragazzotti di borgata e s’è messo a spacciare in proprio. Il Samurai prova a recuperarlo con le buone e va a trovarlo in palestra. Gli propone un accordo ragionevole: il cinquanta per cento della proprietà della palestra e di tutto lo spaccio in cambio della pace. Pigna non sente ragioni. Si chiama i suoi ragazzotti e attacca a testa bassa. In cinque contro uno il Samurai si difende come può, ma alla fine ne esce malconcio. Lo scaricano in un vicolo, mezzo morto, e ci vuole un bel po’ perché si riprenda. Una sera, in palestra si presenta un tipo mai visto prima. Si iscrive, comincia a fare un po’ di pesi, attacca bottone con i ragazzotti del capo. Quand’è l’orario di chiusura, e Pigna è rimasto da solo coi suoi fedelissimi, il tipo mai visto prima tira fuori una mitraglietta Skorpion, come quelle che usavano i terroristi, e li sbatte tutti al muro. Passano cinque minuti. Pigna e i suoi cercano in tutti i modi di far parlare il tipo, che se ne resta muto come un pesce. Finalmente, la porta si apre e arriva lui. Il Samurai. Sotto lo spolverino porta un kimono e fra le mani ha una katana, la spada affilatissima dei giapponesi. Punta diritto al Pigna e gli tiene un discorsetto: sui soldi ci potevo passare sopra, ma sull’umiliazione no. Perciò, caro Pigna, gli dice, tu adesso con questa spada ti apri la pancia, e io ti guarderò morire. In cambio non torcerò un capello ai tuoi pischelli. Pigna si mette a frignare. Chiede perdono. Riconosce l’errore. Gli passerà la palestra, tutta la roba che gli avanza, i contatti dello spaccio. Il Samurai fa un sospiro, alza la spada, e con un colpo solo taglia la testa a uno dei ragazzotti. Pigna scoppia a piangere. I pischelli scoppiano a piangere. Uno di loro si fa avanti e si offre al Samurai come esecutore della condanna. Il Samurai lo squadra e lo decapita. Vedi, Pigna, non ti sai scegliere gli uomini, sospira, non ti sono fedeli… A questo punto, tutti e tre, Pigna e i due sopravvissuti, tentano un attacco disperato. – E che ve lo dico a fare? – concluse Botola. – Il Samurai li fece a pezzi. L’amico non sparò nemmeno un colpo. Poi misero gli avanzi nei sacchi e li buttarono nel Tevere. Lothar e Mandrake fissavano il narratore, sconcertati. – Mi sa tanto che è una cazzata, – azzardò Mandrake. – È ora, – tagliò corto Botola. – Muoviamoci. Raggiunsero piazzale Clodio. Gli abbaglianti del Ducato lampeggiarono tre volte in direzione della porta carraia del palazzo di giustizia, che dopo qualche secondo prese ad aprirsi lentamente. Il militare alla garitta si avvicinò senza fretta al lato di guida. Riconobbe Botola e con un cenno della mano invitò il furgone a proseguire. Risalirono a passo d’uomo la rampa in cemento armato che portava al parcheggio della palazzina C, dove un sistema di porte blindate proteggeva il caveau dell’agenzia 91 della Banca di Roma. Lo sportello interno del tribunale. Il forziere che custodiva le ricchezze e i segreti di magistrati, avvocati, notai, sbirri. Il doppio fondo di quella che chiamano Giustizia e che è solo Potere. Botola afferrò dalla tasca dello sportello l’elenco delle novecento cassette di sicurezza della banca. Il Samurai ne aveva cerchiate centonovantasette. E solo quelle andavano aperte. Lothar afferrò due grossi sacchi di iuta. Mandrake controllò la borsa degli attrezzi e l’anello dalle cinquanta chiavi per il quale a Roma c’era un solo cassettaro: lui. Tutti e tre calzarono guanti neri in pelle aderente. I carabinieri che li aspettavano avevano fatto il loro dovere. Le porte blindate che davano accesso al caveau erano aperte, gli allarmi e il sistema video a circuito chiuso disattivati. Botola incrociò lo sguardo dei militari con una smorfia di disprezzo. Quei due puzzavano di paura e disonore. L’odore che dànno le guardie quando sono marce. E liquidò il piú giovane con un buffetto sulla guancia. Conoscevano il caveau a memoria. Negli ultimi due mesi, Botola, Lothar e Mandrake c’erano scesi almeno una decina di volte, accompagnati da uno dei cassieri dell’agenzia. Un tipo sulla cinquantina con il vizietto della coca e delle femmine. S’era messo a disposizione come un cagnolino. Aveva indicato il titolare di ogni cassetta consentendo al Samurai una cernita. Aveva fornito planimetrie e tenuto aggiornata la lista degli accessi. Aveva reso possibile il calco delle chiavi che aprivano i cancelli interni del cuore di quella banca. In fondo, restava la parte piú semplice. Mettere le mani su quel ben di dio. – Io me levo ’sta divisa, – azzardò Mandrake. – È che proprio nun me ce sento guardia. – A chi lo dici, frate’! – solidarizzò Lothar. Botola autorizzò. Purché si facesse in fretta: la buona sorte non poteva assisterli in eterno, e anche i piani meglio congegnati possono infrangersi sul destino bizzarro. Decisero di lavorare al buio. Con la sola luce di due grandi torce marine. Mandrake volò. Come sapeva e doveva. E le prime centosettantaquattro cassette si aprirono come scatole di cioccolatini...

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