L’intreccio giallo sulle trame nere dei primi anni ’70 ci porta innanzitutto dalle verdi periferie del veneziano alla città di Mestre, luogo natale dei due investigatori, milanesi d’adozione, protagonisti del romanzo. Mestre è una città che qualcuno chiama “piccola Milano”, non certo perché abbia il fascino e la bellezza della metropoli meneghina, ma perché comunque dal dopoguerra si è talmente sviluppata da offrire i servizi di un capoluogo di provincia o di regione.
Il suo scorcio più affascinante è forse la Piazza con la Torre dell’Orologio, ma molto bella è anche la via Giordano Bruno (e parco adiacente) con le rovine dell’antica Torre Belfredo che non hanno nulla da invidiare a uno scorcio della Roma antica. Il romanzo tocca Venezia non tanto nel suo tessuto urbano ma nella sua laguna, le sue isole, in particolare un’isola immaginaria, l’Isola del Morto, luogo di snodo cruciale per la trama: isole spesso disabitate, occasioni di ritrovo per pescatori o compagnie di giovani, isole di salso, di pesce, di onde.
Quindi abbiamo la fascinosa Padova, con i suoi portici, i ristoranti presso i suoi fiumi, la magica zona di Santa Sofia ovattata, colta, silenziosa. Cuore della narrazione è però la Milano degli anni ’70, progenitrice della futura Milano da bere, con le bische, gli intrallazzi politici mai finiti dopo la tragedia di Piazza Fontana, e le sue meraviglie artistico-architettoniche: dalla scintillante Piazza Duomo ai viali ombreggiati di Foro Buonaparte, dal Castello Sforzesco a Piazza della Scala, dai palazzi colorati con il tipico giallo milanese, alle affascinanti case di ringhiera.
Infine c’è un paesino di periferia, immaginario proprio come l’isola veneziana: Colbiate, dove vivono i due poliziotti, che potrebbe assomigliare a Cologno monzese, a Corsico, a Cesano Boscone o a tanti altri paesi brulicanti di gente, a tratti degradati ma a tratti con una loro anima verde, con un loro tentativo di svilupparsi a misura d’uomo.
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