giovedì 25 novembre 2021

Il prologo dello straordinario Noir "Suburra" di Bonini e De Cataldo

PROLOGO
Roma, luglio 1993 
Nel buio umido della notte d’estate, tre uomini attendevano a bordo di un Fiat Ducato dei carabinieri parcheggiato sul lungotevere. Indossavano divise dell’arma, ma erano criminali. Dalla parte sbagliata di Roma li conoscevano con i nomi di battaglia di Botola, Lothar e Mandrake. Botola scese dal furgone e si affacciò sul fiume. Cacciò dalla tasca un novellino Gentilini sbriciolato e lo depose sulla spalletta. Arretrò di qualche passo e rimase a fissare un gabbiano che affondava il becco tra i rimasugli del biscotto. – Che belli i gabbiani. Risalí sul furgone. Quello che chiamavano Lothar si accese l’ennesima sigaretta e sbuffò. – Io me so’ rotto. Che stiamo aspettando? – Te l’appoggio! – disse, convinto, Mandrake. Botola scosse la testa, inflessibile. – Il Samurai ha detto alle due precise. Non un minuto prima, non uno dopo. Non è ancora il momento. Gli altri due protestarono. Ma di che parliamo? Un anticipo di dieci minuti? E che sarà mai? E poi, sulla strada, sino a prova contraria, ci stavano loro, mica il Samurai. Che, per caso, il Samurai ci aveva gli occhi dappertutto? Che era, il Padreterno, che li poteva controllare istante per istante?
– Il Padreterno forse no, – concesse Botola, con un sospiro. – Ma se me parli del diavolo, ci sei vicino. – Seeh, il diavolo! – ironizzò Mandrake. – È ’n omo come noi! E poi me so’ stufato: il Samurai de qua, il Samurai de là… Io, te dovessi di’, non l’ho mai visto sporcarsi le mani, ’sto Samurai… Bravo a parlare, chi lo discute… ma è facile, quando il rischio se lo caricano l’altri. Botola li squadrò, con un mezzo sorriso di commiserazione. Proprio non si rendevano conto, poveri cristi! – Ve lo ricordate il Pigna? A Lothar e a Mandrake quel nome non diceva niente. Botola raccontò una storia. C’è questo pugile del Mandrione, di nome fa Sauro, detto Pigna per via di un sinistro micidiale. Un bestione, tanto forte di braccia quanto scarso a cervello, povero Pigna. Se fosse stato appena un po’ piú furbo, non si sarebbe appiccicato col Samurai per una questione di droga. Sí, perché a un certo punto, dopo un affare di incontri truccati, la Federazione gli revoca la licenza per combattere, e il Pigna si mette a spingere un po’ di roba per conto del Samurai. Il guaio è che il Pigna si crede un gran furbo. Prima comincia a fare la cresta, poi, quando si sente sicuro, arraffa un grosso carico, lo vende per conto suo e sparisce. Resta nascosto tre-quattro mesi, e un bel giorno ricompare. Coi soldi fregati al Samurai s’è comperato una palestra, ha reclutato quattro ragazzotti di borgata e s’è messo a spacciare in proprio. Il Samurai prova a recuperarlo con le buone e va a trovarlo in palestra. Gli propone un accordo ragionevole: il cinquanta per cento della proprietà della palestra e di tutto lo spaccio in cambio della pace. Pigna non sente ragioni. Si chiama i suoi ragazzotti e attacca a testa bassa. In cinque contro uno il Samurai si difende come può, ma alla fine ne esce malconcio. Lo scaricano in un vicolo, mezzo morto, e ci vuole un bel po’ perché si riprenda. Una sera, in palestra si presenta un tipo mai visto prima. Si iscrive, comincia a fare un po’ di pesi, attacca bottone con i ragazzotti del capo. Quand’è l’orario di chiusura, e Pigna è rimasto da solo coi suoi fedelissimi, il tipo mai visto prima tira fuori una mitraglietta Skorpion, come quelle che usavano i terroristi, e li sbatte tutti al muro. Passano cinque minuti. Pigna e i suoi cercano in tutti i modi di far parlare il tipo, che se ne resta muto come un pesce. Finalmente, la porta si apre e arriva lui. Il Samurai. Sotto lo spolverino porta un kimono e fra le mani ha una katana, la spada affilatissima dei giapponesi. Punta diritto al Pigna e gli tiene un discorsetto: sui soldi ci potevo passare sopra, ma sull’umiliazione no. Perciò, caro Pigna, gli dice, tu adesso con questa spada ti apri la pancia, e io ti guarderò morire. In cambio non torcerò un capello ai tuoi pischelli. Pigna si mette a frignare. Chiede perdono. Riconosce l’errore. Gli passerà la palestra, tutta la roba che gli avanza, i contatti dello spaccio. Il Samurai fa un sospiro, alza la spada, e con un colpo solo taglia la testa a uno dei ragazzotti. Pigna scoppia a piangere. I pischelli scoppiano a piangere. Uno di loro si fa avanti e si offre al Samurai come esecutore della condanna. Il Samurai lo squadra e lo decapita. Vedi, Pigna, non ti sai scegliere gli uomini, sospira, non ti sono fedeli… A questo punto, tutti e tre, Pigna e i due sopravvissuti, tentano un attacco disperato. – E che ve lo dico a fare? – concluse Botola. – Il Samurai li fece a pezzi. L’amico non sparò nemmeno un colpo. Poi misero gli avanzi nei sacchi e li buttarono nel Tevere. Lothar e Mandrake fissavano il narratore, sconcertati. – Mi sa tanto che è una cazzata, – azzardò Mandrake. – È ora, – tagliò corto Botola. – Muoviamoci. Raggiunsero piazzale Clodio. Gli abbaglianti del Ducato lampeggiarono tre volte in direzione della porta carraia del palazzo di giustizia, che dopo qualche secondo prese ad aprirsi lentamente. Il militare alla garitta si avvicinò senza fretta al lato di guida. Riconobbe Botola e con un cenno della mano invitò il furgone a proseguire. Risalirono a passo d’uomo la rampa in cemento armato che portava al parcheggio della palazzina C, dove un sistema di porte blindate proteggeva il caveau dell’agenzia 91 della Banca di Roma. Lo sportello interno del tribunale. Il forziere che custodiva le ricchezze e i segreti di magistrati, avvocati, notai, sbirri. Il doppio fondo di quella che chiamano Giustizia e che è solo Potere. Botola afferrò dalla tasca dello sportello l’elenco delle novecento cassette di sicurezza della banca. Il Samurai ne aveva cerchiate centonovantasette. E solo quelle andavano aperte. Lothar afferrò due grossi sacchi di iuta. Mandrake controllò la borsa degli attrezzi e l’anello dalle cinquanta chiavi per il quale a Roma c’era un solo cassettaro: lui. Tutti e tre calzarono guanti neri in pelle aderente. I carabinieri che li aspettavano avevano fatto il loro dovere. Le porte blindate che davano accesso al caveau erano aperte, gli allarmi e il sistema video a circuito chiuso disattivati. Botola incrociò lo sguardo dei militari con una smorfia di disprezzo. Quei due puzzavano di paura e disonore. L’odore che dànno le guardie quando sono marce. E liquidò il piú giovane con un buffetto sulla guancia. Conoscevano il caveau a memoria. Negli ultimi due mesi, Botola, Lothar e Mandrake c’erano scesi almeno una decina di volte, accompagnati da uno dei cassieri dell’agenzia. Un tipo sulla cinquantina con il vizietto della coca e delle femmine. S’era messo a disposizione come un cagnolino. Aveva indicato il titolare di ogni cassetta consentendo al Samurai una cernita. Aveva fornito planimetrie e tenuto aggiornata la lista degli accessi. Aveva reso possibile il calco delle chiavi che aprivano i cancelli interni del cuore di quella banca. In fondo, restava la parte piú semplice. Mettere le mani su quel ben di dio. – Io me levo ’sta divisa, – azzardò Mandrake. – È che proprio nun me ce sento guardia. – A chi lo dici, frate’! – solidarizzò Lothar. Botola autorizzò. Purché si facesse in fretta: la buona sorte non poteva assisterli in eterno, e anche i piani meglio congegnati possono infrangersi sul destino bizzarro. Decisero di lavorare al buio. Con la sola luce di due grandi torce marine. Mandrake volò. Come sapeva e doveva. E le prime centosettantaquattro cassette si aprirono come scatole di cioccolatini...

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